Publié le: 13 juin 2025

Un partenariato strutturato, non l’adesione!.

La Svizzera è al centro geografico dell’Europa. Non si tratta solo di una constatazione topografica, ma di una realtà economica, sociale e politica che accompagna da decenni la nostra prosperità. I rapporti con l’Unione europea – il nostro principale partner commerciale, economico e normativo – sono di interesse vitale per il nostro Paese. Ed è proprio in questo contesto che si inserisce il dibattito sugli Accordi bilaterali III.

Questo nuovo pacchetto, in discussione tra il Consiglio federale e Bruxelles, mira a consolidare il quadro giuridico delle relazioni bilaterali, colmando lacune e superando incertezze che, negli ultimi anni, hanno generato una crescente insicurezza per imprese, ricercatori, lavoratori e numerosi settori strategici. Si tratta di una sfida politica complessa, che impone visione e responsabilità.

Un partenariato strutturato,non l’adesione! Gli accordi bilaterali non sono un espediente tecnico, bensì un modello che ha garantito per oltre vent’anni accesso reciproco ai mercati, cooperazione pragmatica e rispetto delle specificità svizzere. Il pacchetto attuale si inserisce in questa logica. Non si parla di adesione all’Unione europea, ma di stabilizzazione di un partenariato regolato, trasparente e vantaggioso. Rinunciare significherebbe accettare una lenta erosione dei nostri interessi: basti pensare all’esclusione dei ricercatori svizzeri dal programma Horizon Europe o ai timori nel settore medico per l’equivalenza dei dispositivi. Per un’economia esportatrice come la nostra – in cui oltre metà del nostro commercio estero avviene con l’UE – la prevedibilità normativa è una condizione indispensabile.

Libera circolazione: benefici generali, sfide locali. Tra i pilastri dell’attuale modello vi è la libera circolazione delle persone. Questo accordo ha contribuito in modo significativo alla crescita economica del nostro Paese, garantendo manodopera qualificata, flessibilità per le imprese e nuove opportunità per i cittadini svizzeri stessi in Europa. Tuttavia, sarebbe ingenuo ignorare che, in alcune regioni e settori, l’applicazione di tale principio ha generato tensioni.

Nel cantone Ticino, per esempio, l’elevata pressione proveniente dal mercato del lavoro transfrontaliero ha accentuato dinamiche di concorrenza salariale e precarizzazione, in particolare in settori come la logistica o i servizi. L’esperienza concreta mostra che l’apertura dei mercati deve andare di pari passo con la capacità di regolare e accompagnare gli effetti collaterali.

Ecco perché, nel contesto degli Accordi bilaterali III, sarà fondamentale rafforzare le cosiddette «misure di accompagnamento». Si tratta di strumenti indispensabili per garantire condizioni di lavoro eque, tutelare i salari e lottare contro gli abusi. La Svizzera dispone già oggi di meccanismi efficaci – come i controlli sui cantieri o le disposizioni relative ai distacchi – ma occorrerà vigilare affinché tali strumenti non vengano indeboliti.

Clausola di salvaguardia: pragmatismo svizzero. In questo quadro, assume particolare rilevanza anche la proposta di introdurre una clausola di salvaguardia. Essa permetterebbe alla Svizzera di intervenire in modo temporaneo e mirato qualora dovessero emergere squilibri gravi nel mercato del lavoro. Non si tratta di mettere in discussione la libera circolazione nel suo complesso, ma di garantire una valvola di sicurezza per proteggere la coesione sociale e la fiducia dei cittadini.

Questa clausola rappresenta, in fondo, un’espressione concreta del pragmatismo svizzero: apertura sì, ma con regole chiare; integrazione economica, ma senza rinunciare alla nostra responsabilità di gestire le conseguenze sul territorio. In un momento storico caratterizzato da incertezze geopolitiche, rallentamento economico e crescenti spinte protezionistiche, la Svizzera deve saper riaffermare la propria posizione in Europa. Questo non significa accettare ogni condizione imposta da Bruxelles. Significa, piuttosto, riconoscere che il nostro benessere dipende anche dalla capacità di costruire relazioni stabili, fondate sul reciproco interesse.

Il compito della politica federale è quindi duplice: da un lato, finalizzare un pacchetto bilaterale credibile, che tuteli la nostra autonomia e garantisca l’accesso ai mercati europei; dall’altro, assicurarsi che l’attuazione degli accordi sia compatibile con le realtà locali, specialmente nelle regioni di frontiera o nei settori più esposti alla concorrenza. Ignorare questi aspetti significherebbe alimentare il malcontento e rafforzare le spinte isolazioniste.

L’Unione europea resta, nel bene e nel male, la nostra cornice naturale di riferimento. Come parlamentare ticinese, vedo ogni giorno quanto siano intrecciate le nostre economie, quanto conti la cooperazione transfrontaliera e quanto sia delicato l’equilibrio tra apertura e protezione. I Bilaterali III rappresentano un’occasione per rinnovare questo equilibrio in modo moderno e sostenibile.

La Svizzera non può permettersi l’isolamento. Ma non può nemmeno permettersi dei bilaterali mal gestiti. Serve una via svizzera all’Europa: fondata sulla responsabilità, sull’equità e sulla difesa delle nostre specificità. È questo l’obiettivo politico che dobbiamo perseguire con lucidità e determinazione, per garantire al nostro Paese un futuro sicuro, prospero e aperto.

*Consigliere nazionale (PLR/TI)

alex.farinelli@parl.ch

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